Luigi Scarpanti
Bergamo, 1905 - 1984
Artista autodidatta, non avendo frequentato alcuna scuola d’arte, Scarpanti sviluppa la propria carriera secondo una personale concezione artistica e la naturale inclinazione verso l’arte.
Impiegato all’Istituto di Arti Grafiche di Bergamo, si mette in luce come rilegatore d’importanti libri d’arte.
Nel dopoguerra comincia la sua partecipazione a fiere e rassegne locali nazionali ed internazionali, mettendosi in evidenza alle Quadriennali di Roma (1947, 1951, 1955); alle Biennali di Venezia (1948, 1950); a diverse Biennali di Milano, al Premio Internazionale di pittura Campione d’Italia (1970 e 1972).
Estraneo agli schemi concettuali dell’epoca circa il ruolo che avrebbe dovuto assumere ogni artista di fronte al figurativo o all’astrattismo, Scarpanti svolge una sua fusione specifica “realistico-espressionista” in sintonia con le ricerche artistiche che si erano concretizzate nel gruppo del “Fronte Unico” delle arti.
La sua pittura, corposa e trasparente, giocata su campiture a larghe stesure prospettiche e su toni bruni fondo-terrosi e celeste cenere, rappresenta una “novità” al di fuori di schemi accademici prefissati e lontana dalla tradizionale pittura bergamasca, legata ancora al tardo naturalismo ottocentesco. Studiando la «potenza» della luce e i suoi vari aspetti compositivi, giunge a rendere «personaggio» la stessa luminosità, quasi a far comprendere che nell’infinita gamma cromatica delle componenti della luce stessa è insito quell’elemento vitale che dà origine e movimento a persone e cose. In tal modo i paesaggi di Scarpanti, le figure da lui interpretate, le nature morte, acquistano preziosità che va ben oltre il semplice aspetto visivo e illuminante in quanto tale. La luce è per Scarpanti gioia del vivere, serenità dello spirito, pace interiore.
Il “caso” Scarpanti incomincia pertanto a suscitare polemiche soprattutto fra i pittori accademici che non vedevano di buon occhio l’autodidattismo di questo giovane operaio delle Arti Grafiche. D’altro canto però egli diveniva un punto di riferimento delle nuove generazioni, soprattutto degli allievi di Funi che apprezzavano in Scarpanti il forte spirito antiaccademico, la libertà esecutiva, il coraggio del taglio prospettico, la forza del chiaroscuro e l’incisività graffiante del disegno.
Il gallerista Nino Zucchelli apprezza ben presto il suo talento e gli organizza alcune personali nella Galleria della Rotonda di Bergamo.
Sfogliando “Emporium”, “L’Eco di Bergamo”, il “Giornale del Popolo” dell’epoca, si apprende come Scarpanti sia uno dei pochissimi artisti bergamaschi a mettersi in evidenza tra i nomi più rilevanti dell’arte nazionale.
Scarpanti, forse non ancora del tutto «scoperto» nella sua interezza di artista tra i più qualificati nell’epoca moderna, da solo è riuscito a donare all’arte pittorica un contributo di eccezionale importanza e valore.
Bibliografia:
P. Mosca, Arte e costume a Bergamo, ottocento-novecento, Bergamo, Grafica e Arte, 1990.
Impiegato all’Istituto di Arti Grafiche di Bergamo, si mette in luce come rilegatore d’importanti libri d’arte.
Nel dopoguerra comincia la sua partecipazione a fiere e rassegne locali nazionali ed internazionali, mettendosi in evidenza alle Quadriennali di Roma (1947, 1951, 1955); alle Biennali di Venezia (1948, 1950); a diverse Biennali di Milano, al Premio Internazionale di pittura Campione d’Italia (1970 e 1972).
Estraneo agli schemi concettuali dell’epoca circa il ruolo che avrebbe dovuto assumere ogni artista di fronte al figurativo o all’astrattismo, Scarpanti svolge una sua fusione specifica “realistico-espressionista” in sintonia con le ricerche artistiche che si erano concretizzate nel gruppo del “Fronte Unico” delle arti.
La sua pittura, corposa e trasparente, giocata su campiture a larghe stesure prospettiche e su toni bruni fondo-terrosi e celeste cenere, rappresenta una “novità” al di fuori di schemi accademici prefissati e lontana dalla tradizionale pittura bergamasca, legata ancora al tardo naturalismo ottocentesco. Studiando la «potenza» della luce e i suoi vari aspetti compositivi, giunge a rendere «personaggio» la stessa luminosità, quasi a far comprendere che nell’infinita gamma cromatica delle componenti della luce stessa è insito quell’elemento vitale che dà origine e movimento a persone e cose. In tal modo i paesaggi di Scarpanti, le figure da lui interpretate, le nature morte, acquistano preziosità che va ben oltre il semplice aspetto visivo e illuminante in quanto tale. La luce è per Scarpanti gioia del vivere, serenità dello spirito, pace interiore.
Il “caso” Scarpanti incomincia pertanto a suscitare polemiche soprattutto fra i pittori accademici che non vedevano di buon occhio l’autodidattismo di questo giovane operaio delle Arti Grafiche. D’altro canto però egli diveniva un punto di riferimento delle nuove generazioni, soprattutto degli allievi di Funi che apprezzavano in Scarpanti il forte spirito antiaccademico, la libertà esecutiva, il coraggio del taglio prospettico, la forza del chiaroscuro e l’incisività graffiante del disegno.
Il gallerista Nino Zucchelli apprezza ben presto il suo talento e gli organizza alcune personali nella Galleria della Rotonda di Bergamo.
Sfogliando “Emporium”, “L’Eco di Bergamo”, il “Giornale del Popolo” dell’epoca, si apprende come Scarpanti sia uno dei pochissimi artisti bergamaschi a mettersi in evidenza tra i nomi più rilevanti dell’arte nazionale.
Scarpanti, forse non ancora del tutto «scoperto» nella sua interezza di artista tra i più qualificati nell’epoca moderna, da solo è riuscito a donare all’arte pittorica un contributo di eccezionale importanza e valore.
Bibliografia:
P. Mosca, Arte e costume a Bergamo, ottocento-novecento, Bergamo, Grafica e Arte, 1990.
